DOPO LA TEMPESTA

DOPO LA TEMPESTA ……

 

Questo spazio ritorna a voi dopo un lungo tempo di ferma durante il quale, come ben sappiamo, abbiamo dovuto affrontare una delle prove piu’ tragiche e dolorose, quella del Covid. Nessuno era pronto e preparato a una simile emergenza, e l’ambito che piu’ di tutti ne ha sofferto e’ stato quello degli ospedali e delle Rsa/Cra di ogni territorio.

Per settimane non si faceva altro che contare decessi, mentre le strutture con quello che avevano a disposizione hanno dato tutte le cure possibili perche’ il numero non aumentasse . E’ stato a dir poco difficile assistere ogni giorno alla sofferenza dei nostri residenti, ed e’ stata per noi che prestiamo le cure e l’assistenza alle loro persone una prova che ci ha richiesto, sotto ogni aspetto, un prezzo altrettanto alto , tanto che alla fine la meta’ di chi opera nella nostra struttura si ritrovo’ a casa con il virus per lunghi periodi. In ambito nazionale abbiamo visto anche personale sanitario che a vari livelli ha pagato con la propria vita essere e restare sul campo a compiere cio’ che la propria divisa chiamava a fare, come dovere professionale e civile nei confronti dell’altro, in questo caso i piu’ fragili e i piu’ deboli : anziani, bambini, disabili.  Ci siamo ritrovati a dovere indossare tute, maschere, guanti, occhiali e visiere per avvicinarci ai nostri residenti e prestargli le cure e l’assistenza quotidiana, cosa che fino a poco tempo prima si faceva a viso scoperto. Ora, avvolti da tutte queste protezioni, ovviamente non venivamo riconosciuti, anzi, agli inizi ne avevano paura, chiedendo chi si nascondesse dietro quelle maschere e quegli occhiali. Uno dei traumi piu’ grandi (non solo) per loro e’ stata la totale cancellazione di ogni forma di socialita’  che ogni giorno li vedeva relazionarsi con il mondo che stava dentro e fuori dalla struttura. Servizi come la palestra e l’animazione, che da sempre erano stati la spina dorsale attorno alle quali si svolgevano i vari riti giornalieri delle attivita’ all’improvviso hanno cessato di esistere, per non parlare del blocco delle visite dei propri famigliari e conoscenti, sostituite per lungo tempo dalle video chiamate al telefono. Da parte nostra tutto questo ci ha chiamati ad una prova fisica e psicologica senza precedenti, in cui ogni realta’ professionale ha dovuto e dato oltre il massimo umanamente pensabile, dove, sfiniti di ogni residua forza il giorno dopo ripartivamo nuovamente ad affrontare la realta’ e le conseguenze di questa pandemia, mentre tutti invocavano e aspettavano che si creasse un vaccino, qualcosa che potesse quanto meno ridurre l’incidenza mortale del Covid, e qui, dopo, abbiamo assistito ad una spaccatura tra chi si e’ vaccinato e chi, per varie ragioni ha rifiutato di farlo. Una delle conseguenze piu’ pesanti e’ l’allarme che da qualche tempo tutte le strutture sanitarie e in particolare nelle Rsa/Cra hanno lanciato, riguardante la mancanza di Oss e infermieri. Allo stato attuale all’orizzonte non si preannuncia niente di buono, queste due figure sono diventate di difficile reperibilita’, in quanto tutti gli Oss/infermieri vaccinati e disponibili sono gia’ stati assunti , in una sorta di “ gioco” dove chi prima arriva meglio alloggia. Sara’, questo, uno dei prossimi temi caldi col quale dovremo( e gia’ stiamo facendo) i conti .

Gianluigi Rossetti

Oss e Consigliere Anoss

Il Corpo Indifeso

 

IL CORPO INDIFESO

In ogni azione del nostro prestare l’assitenza e l’aiuto alle persone che abbiamo in cura,ci viene richiesta,sempre,una certa dose di attenzione nei confronti del singolo che in quel momento stiamo trattando.Sicuramente,uno dei momenti in cui questa attenzione ci viene richiesta con ancora piu’ forza,e’ quello dell’igiene alla persona,insieme al momento della doccia.

Sono,queste,le due situazioni nelle quali piu’ che in tutte le altre,veniamo letteralmente a contatto con il corpo della persona,e della sua intimita’.Due,ritengo,siano i nemici che abbiamo,in questo contesto.

Uno e’ il tempo,sempre e sistematicamente poco,all’interno del quale dobbiamo svolgere decisine di compiti e mansioni nell’arco del turno di lavoro.

Il secondo e’ l’inevitabile abitudine della quotidianita’ della nostra professione,e del fatto che le persone che abbiamo in carico ogni giorno,ci diventano,diciamo cosi’,familiari.

Si e’ portati a pensare che quell’iniziale disagio che la persona legittimamente e ovviamente prova,nell’avere il proprio corpo,la propria nudita’ sotto gli occhi di sconosciuti,(che saranno pure coloro che devono badare alla cura e all’igiene del tuo corpo,e che vedi tutti i giorni,ma sono sempre sconosciuti)sia alla fine sparito,o quantomeno,come si usa dire,ci abbiano fatto l’abitudine.

Se per certi aspetti e’ vero(ma e’ un farci l’abitudine per forza di cose,quindi la chiamerei piu’ una rassegnazione ad una determinata condizione fisica ),dall’altro lato, pero’,non dobbiamo mai dimenticare che il momento della nudita’,di mani che non sono le proprie,quelle che lavano,che puliscono,che mettono in ordine,e’ sempre un momento di grande imbarazzo per chi viene assistito,e che,in fondo non si abituano mai veramente a questi momenti.A noi,come sempre,tocca il compito,umanamente e moralmente di dare e garantire quella dignita’ e quella discrezione che spettano loro di diritto,quando,per ovvie e inevitabili ragioni dobbiamo “invadere” la loro intimita’.

E questa condizione riguarda non solo la realta’ dell’anziano,ma qualunque eta’ in un contesto di malattia o cmunque di dipendenza dagli altri,per varie ragioni.

Due esempi:1)Trentotto anni fa mi trovavao in ospedale per una operazione urgente,seguita da due settimane di ricovero.In quel periodo in cui avvenne il fatto(Settembre’81) avevo appena compiuto 16 anni,e mamma lavorava,per cui poteva farmi visita solamente alla sera.Si presto’ a farmi da “infermiera” la mamma di una mia compagna di scuola, che,quindi,conoscevo bene,in caso avessi avuto bisogno di usare il pappagallo,in quanto non potevo muovermi dal letto.Non la volli,categoricamente,per il semplice fatto che l’idea che qualcuno,seppur conosciuto,avrebbe visto la mia intimita’,mi metteva in un disagio assoluto.Per contro,mi arrendevo alla presenza delle infermiere,le quali,per le ragioni di cui sopra lo avrebbero fatto,in caso di necessita’,ma il disagio e l’imbarazzo di fondo restavano.

2)Per dieci anni ho operato al terzo piano,poi sono passato al Centro Diurno.In una occasione accompagnai in bagno una delle ospiti del reparto,perche’ le colleghe erano entrambe impegnate con un altro compito.Nonostante per dieci anni io avessi eseguito sulla sua persona le azioni del lavare o del pulire, dopo solamente due anni di cambio reparto,alla mia presenza a dover compiere quella determinata azione,confesso’ il suo disagio nei miei confronti.

Detto questo,poi,come sempre,non dimentichiamo che i modi in cui ci poniamo,in cui eseguiamo ogni azione,fanno sempre tutta la differenza del mondo.

Alla prossima, e buon lavoro a tutti.

 

Gianluigi Rossetti

Oss e Consigliere Anoss

I “10 comandamenti” del Leader

I “10 comandamenti” del Leader
La leadership viene studiata ed insegnata ovunque. Purtroppo, però non è altrettanto praticata. Il buon senso ci aiuta a far sapere cosa fare e cosa non fare ma, nonostante questo, ci sono molte persone che continuano a sbagliare. Ecco una piccola check-list di 10 qualità e comportamenti che possono aiutarvi ad essere un leader migliore.
1. La leadership deriva da quello che fai e da quello che non fai, n on dal titolo che hai. La leadership è un verbo, un azione. Chi la esercita scuote le persone, accende l’entusiasmo ed anima quanto di meglio c’è nel gruppo. La grandezza della leadership si fonda su qualcosa di primitivo: la capacità di far leva sulle emozioni ed il successo di un leader dipende da come egli agisce. Per quanto possa eseguire tutto il resto alla perfezione se fallisce nel compito primario di orientare le emozioni nella giusta direzione, nulla di quanto intrapreso funzionerà. Se chi comanda, grida, è un capo. Quella non è leadership.
2. I leader sono al servizio degli latri, non il contrario. Un buon leader fa gli interessi del sistema, non i propri. Quante volte in un azienda viene promosso alla direzione un teorico, senza che prima siano valutate le sue capacità di gestione delle risorse umane? Chi dirige un gruppo di persone deve saper sentire, capire, interpretare, per poi guidare. Se si promuove in azienda una persona con solo un buon bagaglio culturale, si toglie dall’organizzazione una persona competente ma si rischia di aggiungere un cattivo manager al servizio. Le migliori orchestre ascoltano il proprio direttore, che a sua volta sa ascoltare ogni singolo elemento del gruppo in modo che alla fine ne esca un’intonata e meravigliosa sintonia.
3. I leader sono responsabili. Le emozioni negative, specialmente la costante irritazione, l’ansia o il senso di inutilità, costruiscono un potente fattore di disturbo a livello professionale, poiché distolgono l’attenzione dal lavoro. I leader sono sempre abili a dare risposte. Difficilmente danno la colpa agli altri, e anche quando non è loro, pensano a cosa possono fare per risolvere la situazione. Un grande leader è chi si prende la responsabilità, non chi distribuisce colpe; e per far ciò serve impegno e coraggio. Ecco perché sono in pochi a farlo.
4. I leader vanno oltre a differenza della massa che fa il necessario, il richiesto, il minimo sindacale. Sanno essere risonanti ovvero entrano in sintonia con i propri interlocutori e riescono ad orientarli verso uno stato d’animo positivo. Quando siamo in sintonia con il gruppo, fedeli al significato del termine, questa sintonia “risuona”, prolungando l’intensità positiva dell’emozione. Un gruppo di dipendenti, all’unisono con l’entusiasmo e l’energia del capo, denota una leadership risonante, scatenando un effetto domino. Al contrario, un leader privo di risonanza otterrà dai collaboratori solo un impegno di facciata: si limiteranno a fare il minimo indispensabile…forse. Se, invece, volete eccellere, andate oltre, date ai vostri operatori ciò che nessuno da loro. Rimarrete nella loro memoria.
5. I leader sanno costruire e trasferire fiducia. La continua interruzione dei circuiti limbici aperti tra i membri di un gruppo crea una sorta di mix emozionale a cui ognuno aggiunge il proprio aroma… ma è sempre il leader a dare il tocco finale. Perché? Gli occhi di tutti sono sempre puntati sul capo, che rappresenta una fonte emotiva innescante, un effetto domino. Quando gli altri intervengono, lo fanno riferendosi alle osservazioni del leader piuttosto che a quelle dei colleghi. Questo in quanto i leader trasmettono fiducia e sono vere e proprie calamite umane. Dotato di una particolare inclinazione ad agire da attrattore limbico, esercitando una forza tangibile sul cervello emozionale di chi lo circonda. L’apertura di un leader-ovvero l’efficacia con cui trasmette il suo entusiasmo- determina in larga misura la rapidità di diffusione del contagio tra coloro che lo circondano.
6. I leader sono creativi. Ancora oggi, e purtroppo spesso, ci sentiamo dire:” Qui si è sempre fatto così e si continua a fare così…E’ sempre andato tutto bene!”. Chi conduce gruppi di lavoro, invece, dovrebbe fare della creatività la propria ragion d’essere. “L’uomo che non può creare, vuol distruggere”, scritte Erich Fromm. Steve Jobs, invece, affermava: “siate affamati, siate folli!”… e “ Siate creativi”, aggiungiamo noi!
7. I leader hanno integrità. Integro significa “non rotto”. I leader sono tali anche perché sono un unità che non si divide per la convenienza apparente del momento. Se si chiede agli altri di fare una cosa, bisogna essere i primi a farla. Non ci sono tanti esempi da imitare in questo senso, ecco perché se inizierete, se ne accorgeranno tutti, sarete una rarità.
8. I leader si divertono e fanno divertire. Ricerche hanno rilevato che all’interno dei gruppi allegria e cordialità hanno una notevole capacità di diffusione; una maggiore propagazione degli stati d’animo positivi, hanno effetti positivi sulla performance degli operatori. Un atteggiamento ottimista favorisce collaborazione e correttezza nei rapporti all’interno del gruppo di lavoro. Ecco perché un leader deve divertirsi e far divertire. Se c’è divertimento c’è allegria che si espande attraverso sorrisi e risate che provocano risposte analoghe. In u ambiente di lavoro il suono di una risata segnala la temperatura emotiva di un gruppo ed invia un messaggio: stiamo bene insieme? Se il gruppo di lavoro si diverte significa che ha anche la passione per quello che fa e sa trasmettere. La passione è virulenta.
9. I leader sono diversi e valorizzano le differenze. E’ impossibile essere uguali al gruppo ed essere dei leader. E’ impossibile essere creativi, se la pensi come gli altri. La diversità è un valore che i leader considerano importante: “l’unico vero viaggio, l’unico bagno di giovinezza, sarebbe non andare verso nuovi paesaggi, ma avere altri occhi, vedere l’universo con gli occhi di un altro, di cento altri, vedere i cento universi che ciascuno vede, che ciascuno è”, scriveva Marcel Proust in alla ricerca del tempo perduto. Chi è forte ha infatti bisogno di sentire opinioni diverse dalle proprie, vuole andare costantemente alla ricerca di stimoli.
10. I leader sono eccellenti comunicatori. Se le grandi idee, l’integrità, la passione rimarranno incomprese, non sarete un grande leader. Ascoltare è l’aspetto più importante del comunicare. Saper comunicare e saper capire le persone è una delle caratteristiche ed abilità fondamentali della leadership. Sono molti i casi di persone con poco contenuto ma molta capacità comunicativa, che riescono ad avere più attenzione di chi ha contenuti, ma non sa spiegarli. Gandhi diceva:” un tempo essere leader significava avere muscoli forti, ora significa avere buone relazioni con le persone”. Le nuove sfide chiedono più e nuovi leader.
Nicola Pisaroni
Presidente Anos
Bibliografia e sitografia
D. Goleman, Intelligenza emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici, BUR, Milano 1996
D. Goleman et al, Essere leader, BUR , Milano 2002
http://www.venderedipiu.it/dal-magazine/le-dieci-facce-del-leader.

La gestione degli stronzi

La gestione degli stronzi
Sono come l’influenza: te la fai di sicuro
Se c’è una suoneria che non vorresti mai e poi mai dover sentire, è quella della sveglia alle cinque del mattino! D’altra parte, qualche ora prima le hai dato la carica, hai regolato le lancette e lei, sempre ligia al dovere che le compete, ti avverte che l’ora à giunta! Qualche volta decidiamo di stare ancora cinque minuti e quando succede che si prende la sciagurata decisione, il risultato è che alle sei e un quarto il silenzio della tua casa viene scosso da un altro suono: quello del telefono, seguito dalla voce della tua collega che ti ricorda che forse hai qualcosa da fare dalle parti della struttura! Come sempre in questi casi, ti ribalti giù dal letto e pensi: ”Porca miseria, lo sapevo, lo sapevo!”. Mai fidarsi dei cinque minuti! La mia suona esattamente alle 4.30, (ma devo precisare che il mio caso non fa testo), ormai da ventitré anni!: Tutto è regolato al minuto: alle 4,50 in cucina per la colazione, e alle 5.10 bicicletta alla mano, eccetto se piove, pedalo lentamente nel buio e nel silenzio di quel che resta della notte, con l’odore del pane che esce dal camino del fornaio qui vicino e mi avvio verso una nuova giornata di lavoro.
GianLuigi Rossetti è un Oss ed inizia così un suo racconto dal quale si evince la fatica che quotidianamente affrontano questi silenziosi eroi dell’assistenza, ma si avverte anche la passione ed il piacere che prova l’operatore nel recarsi al lavoro all’interno di una organizzazione non perfetta ma certamente piacevole, che potremmo almeno definire media, quindi con situazioni risolvibili. Purtroppo, però, esistono sempre anche, (e non poche), organizzazioni non proprio virtuose, organizzazioni per cui tanti GianLuigi ritengono che l’unico intervento per ripristinare un accettabile clima sia una bomba a fissione nucleare. Qui i nostri super eroi assistenziali sono circondati da Criptonitici colleghi affetti dalla contagiosissima patologia della sveglia. Quali sono i sintomi? Quando la sveglia inizia a suonare gli operatori vengono colpiti da un’insuperabile senso di tristezza seguito da forte aggressività nei confronti dell’orologio strillante che funge da richiamo alle armi. Gli operatori vorrebbero in quel primo momento della giornata andare dappertutto fuorché dove si troveranno di lì a poco. Questo articolo sulla gestione degli stronzi nasce dall’idea di informare su chi sono queste persone, come si comportano, e per aiutare a sopravvivere ai cattivi odori presenti in queste tipologie di aziende in cui apicali, responsabili, colleghi più o meno “anziani”, si erotizzano all’idea di avere sotto di loro altri lavoratori. Qui le dinamiche che vengono perpetrate sono tendenzialmente violente, non in una prospettiva fisica, ma psicologica. Si tratta di violenza subdola che fa vivere cronicamente in tensione ogni operatore. Quella che non da tregua, che si insinua nella vita lavorativa per poi contaminare, come un virus, anche la realtà extralavoro. Le persone non sono scisse in due unità distinte, ma in un solo, indivisibile, unico individuo. Non ha senso, perciò, pensare che una volta terminato il turno di lavoro possiamo liberarci da quelle situazioni che ci hanno resi uno straccio. Tutto ciò accumulato si ripercuoterà anche sulla nostra realtà non professionale. La domanda: le ho provate veramente tutte….Ma come posso fare ?. Il comportamento ritengo sia quello di allontanarsi immediatamente da queste organizzazioni o evitarle in partenza nel momento in cui al primo colloquio si fiuta un odore…non proprio floreale. Ma in questi tempi di crisi reale, crisi che ha contribuito certamente ad aumentare il numero di aziende da bomba a fissione nucleare in cui la leva del o così o la porta è quella, se vi dicessi di mandare a monte posti di lavoro o semplici opportunità sarei poco realista, (tutti dobbiamo arrivare come si dice al 27!). Però il consiglio che
mi sento di dare è di vedere la cosa in una diversa prospettiva, non smettere di pensate che tutto ciò che si subisce non è normale, non smettere di guardarsi attorno per cambiare ambiente il prima possibile. Questo è un aspetto fondamentale in quanto induce a vedere da un angolazione inconsueta: pensare che la realtà lavorativa schifosa di cui facciamo parte sia un arco temporale circoscritto e non una condanna all’ergastolo. Se si rimane chiusi nell’ottica di devo rimanere dove sono, devo sopportare ogni ingiustizia e mandar giù il rospo perché devo mantenere il figlio, pagare il mutuo, si diventerà “carne da macello”. Ma diamo anche un aspetto manageriale al tema, ovvero: quanti e quali danni gli stronzi recano ad una azienda? Aumento delle malattie, aumento del turn over, aumento dei contenziosi, aumento dell’ansia, depressione, diminuzione delle performance, disaffezione aziendale e tanti, tanti, tanti altri, un numero davvero incalcolabile di danni. Chi ricopre ruoli di responsabilità all’interno delle organizzazioni sociosanitarie dovrebbe porre anche attenzione al fatto che un clima altamente contaminato da queste persone nasconde dietro l’angolo sempre potenziali errori che il gruppo di lavoro potrebbe commettere. In uno studio americano fatto su infermieri vittime di superiori e colleghi (quindi circondati da stronzi), si evidenzia il tasso di errore in 8 reparti ospedalieri. Se le aspettative erano che i reparti condotti con miglior leadership e collaborazione risultassero con minori errori rispetto a quelli gestiti in assenza di leadership e collaborazione, i risultati di questo studio svolto oltre Oceano invece hanno evidenziato esiti esattamente opposti alle aspettative. La conclusione è stata che i reparti con un miglior coordinamento e collaborazione si sentivano psicologicamente sicuri ed hanno dichiarato correttamente gli errori commessi. I reparti coordinati in modo pessimo e colleghi stronzi, vivevano nella paura e per il terrore di ripercussioni ai test dichiarano il falso, quindi alla verifica dei risultati: meno errori, in una organizzazione basata sulla paura in cui gli operatori si guardano continuamente alle spalle e cercano costantemente di evitare le umiliazioni. Gestire stronzi però, significa anche capire se stessi e mettersi davanti allo specchio perché se un collega, un famigliare o un ospite ci da dello stronzo…..a volte hanno pure ragione ed ammettere che in fondo ad ognuno di noi capita di essere stronzo, non D.O.C. ma anche semplicemente occasionale, impedirà al nostro stronzo interno di uscire, di metterlo dietro alle sbarre grazie alla conoscenza di noi stessi ma soprattutto dei luoghi e delle persone che possono farci diventare stronzi. In conclusione, Gianfranco Funari diceva :” se uno è stronzo è stronzo, è un termine che non ha sinonimi, non posso dirgli che è uno stupidino senno gli creo delle illusioni!”. Ecco perché la decisione di utilizzare un vocabolo inconsueto per queste tipologie di articoli è spesso criticato. Parlare di gestione degli stronzi è un modo per giocare con un termine entrato oramai a far parte del nostro dizionario, (scagli la prima pietra chi non ha mai esclamato questa parola), ma in realtà l’obiettivo meno metaforico è quello di introdurre e di trattare il delicato tema del bullismo e del mobbing nell’adulto e nei luoghi di lavoro.
Nicola Pisaroni
Presidente Anoss

Ci vuole un fisico bestiale

Ci Vuole Un Fisico Bestiale
Il titolo di un famosissimo successo di Luca Carboni, credo, senza ombre e senza dubbi, si attagli perfettamente alla descrizione dell’Oss.
Vestendo questi panni da ben 32 anni, posso vedere come, nel tempo, la pressione psicologica e fisica sia sempre stata a livelli altissimi, a rischio burn out. Questa sindrome, è infatti, una delle conseguenze piu’ evidenti nelle professioni in cui sistematicamente e quotidianamente gli operatori, si ritrovano sottoposti a stressogene relazioni interpersonali.
Quando ho iniziato (Febbraio 1986), la pressione maggiore era quella fisica, in quanto tutti gli spostamenti letto/carrozzina si eseguivano a braccia. Non esisteva l’ombra di un sollevatore o di uno strumento meccanico o elettronico che aiutasse gli operatori ad eseguire tali azioni. Schiena e braccia, sia nell’alzata che, ovviamente nell’allettamento. Si può ben immaginare quanti, alla fine, specialmente tra chi operava già da parecchi anni, soffrissero di evidenti dolori lombari, e non solo. La pressione psicologica non era ancora cosi’, diciamo, conclamata, per il fatto che all’epoca (ma era un’epoca al suo tramonto) la maggior parte dei residenti erano uomini e donne ancora in piena autosufficienza, ed occupavano due piani dei quattro che abbiamo tutt’ora.
La trasformazione e’ arrivata proprio in quel periodo, quando la Regione cambiò nome alle Casa Di Riposo con Casa Protetta. Sotto questa nuova definizione non ci sarebbe stato solamente l’anziano più o meno autosufficiente come residente di questi luoghi, ma sarebbero arrivate anche altre realtà di malattia, dal residente emiplegico, all’Alzheimer, al Parkinson. Per quanto mi riguarda, i primi a dare il via a tutti questi nuovi arrivi furono gli ospiti psichiatrici, e come ho avuto modo qualche tempo fa di scrivere su questo, noi non eravamo pronti, non eravamo preparati (anche oggi, nonostante gli anni passati, dico che non lo siamo, per la imprevedibilità comportamentale propria di questa realtà). Tutto questo ha portato, per forza di cose, a doversi porre in modi completamente nuovi e diversi nell’azione di assistenza alle persone, umanamente e professionalmente. Se da un lato la pressione fisica non e’ comunque diminuita (per quanto, da tempo, nel nostro lavoro siamo affiancati dalle macchine, ma il lavoro dell’uomo e’ sempre la maggioranza), e’ sicuramente aumentata quella psicologica, che, tra le due, metterei al primo posto. Di questo, e altro, parleremo ancora nelle prossime edizione del Magazine on line.
Gianluigi Rossetti
Oss e Consigliere Anoss